martedì 22 aprile 2014

Mnèsicle intervista MARIO FERRARA


Lo scorso marzo abbiamo avuto il piacere di avere con noi un fotografo, non un fotografo qualsiasi, bensì un fotografo architetto che ha saputo mettere a disposizione di noi tutti con parole semplici la propria professionalità in maniera impeccabile.


L’incontro ha lasciato più di un segno, tra i tanti, che esiste differenza tra lo scattare una foto e fare una fotografia, che un’immagine all’ apparenza insignificante può divenire piena di significato e che, probabilmente, la cosa più difficile in fotografia è rimanere semplici.

Queste e tante altre le impressioni che possono avere come unico riferimento Mario Ferrara che ha gentilmente accettato di rilasciare un’intervista in memoria del suo contributo per la nostra associazione che riportiamo a seguire. 


Come ti sei avvicinato alla fotografia?
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Mi sono avvicinato alla fotografia quando mi sono iscritto alla Facoltà di Architettura nel 1990. Già dai primi esami ( Disegno e rilievo, Teoria e tecnica della progettazione, Tecnologia dei materiali, etc.) bisognava fotografare, per cui è stata prima una necessità, poi diventata passione e poi ancora una professione.

Nello stesso periodo, frequentavo un amico che era iscritto all’ IED di Roma, grazie a lui scoprii il fascino delle diapositive e della camera oscura. Ne allestii una nel sottoscala di casa mia, passavo intere notti tra vaschette e soluzioni chimiche. Ora purtroppo non ho più il tempo e neanche il sottoscala…


Il servizio fotografico che ti è rimasto nel cuore qual è stato? 

Sicuramente due. Il primo è stato la serie di città italiane, sette per la precisione, che ho fotografato per conto della Deutsche Bank nel 2008. Dovevo consegnare cinque fotografie per ogni città, sceglievo io le architetture più rappresentative ogni volta.

 Con la consapevolezza di non riuscire a raccontare una città in cinque scatti, e sapendo di non riuscire a farlo neanche fotografando i prospetti delle cinque architetture più rappresentative, ho deciso di procedere “per frammenti” estremizzando il concetto di frammento insito nella fotografia stessa. Ogni volta che fotografiamo, scegliamo un frammento di realtà e di tempo, io ho fotografato cinque frammenti delle cinque architetture individuate per ogni città. Mi sono divertito.
L’altro lavoro che mi è rimasto nel cuore è stato quello del 2013 per conto della Conferenza Episcopale Italiana su undici chiese di architettura contemporanea presenti su tutto il territorio nazionale.

In questa occasione ho avuto la possibilità di fotografare opere, tra gli altri, di Fuksas, Gregotti, Purini. 
È stata una bellissima esperienza anche perché le fotografie sono state esposte al MAXXI di Roma. 
Ogni servizio fotografico mi lascia qualcosa di nuovo, questo devo dirlo.


Canon o Nikon?  Qual è la tua fedele compagna di scatto?

Sono stato sempre “nikonista”, anche se ho usato per molti anni e continuo ad usare attrezzatura analogica di medio e grande formato Silvestri, specifica per riprese di architettura. Oggi il digitale, con un’attrezzatura tipo Nikon e ottiche decentrabili, danno comunque la possibilità di fotografare l’architettura con il giusto approccio e con ottimi risultati, ma non bisogna dimenticare mai che l’attrezzatura è soltanto il mezzo per esprimersi: di un chitarrista sicuramente guardiamo la chitarra, ma quello che conta è ascoltare la sua musica.

L’obiettivo al quale non potresti mai rinunciare qual è?


Tutti i grandangolari sicuramente, ma se devo sceglierne uno sicuramente il 24mm PC E della Nikon.

Le soddisfazioni che ti sei tolto quali sono state? (Un po’ di autocelebrazione non fa male!)

L’attività di docente in primis, ma sicuramente essere presente, tra pochi altri fotografi, sul sito Silvestri e su quello Nikon è una bella cosa.



Quali sono, a tuo avviso, le problematiche del tuo settore/nicchia di riferimento? Che soluzioni proporresti per migliorare la situazione?

Mi permetto di dire che manca la cultura della fotografia di architettura, sia nella maggior parte delle facoltà di architettura delle università italiane, sia in gran parte degli architetti. Questa mancanza fa si che non sempre gli architetti sentano la necessità di affidare ad un professionista la rappresentazione fotografica dei propri progetti realizzati; inoltre il non conoscere la specificità della fotografia di architettura, permette anche a fotografi non specializzati, di accettare incarichi in questo ambito senza il giusto bagaglio tecnico e culturale.

La soluzione che mi viene in mente e soltanto quella di inserire l’esame di Fotografia di Architettura come esame fondamentale nei corsi di laurea in architettura.
Quale  consiglio daresti  alle nuove leve e a tutti quelli che sognano di diventare fotografi professionisti ?

Di approfondire non solo la tecnica, ma la storia della fotografia. È fondamentale.

Romina Muccio


                                                                                                               

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